sabato 14 febbraio 2009

IN RICORDO DEL "PIRATA"



5 ANNI FA MORIVA MARCO PANTANI

E' domenica, sono le 7.55 e queste sono le prime immagini della televisione che vedo appena alzato e mi assale una strana sensazione. Quel titolo che copre quasi mezza prima pagina della gazzetta dello sport senza far riferimento al nome mi scuote, mi agita. Ho quasi paura di scoprire di chi si tratta. E' famoso, ma sopratutto temo sia giovane. Solo nell'edizione delle 8 del tg5 (dopo il consueto prima pagina) apprendo della tragica fine di un grande campione, di uno che si faceva amare e non solo ammirare.
Un albergo "Le rose", un uomo ingrassato, un uomo che si era volutamente isolato e che si era involontariamente perso in un male oscuro. Sono le prime cose che mi colpiscono e che mi giungono come nuove. Le ultime notizie di Marco Pantani erano quelle del ricovero in una clinica per problemi di depressione alla fine dell'estate del 2003 quando cercavo disperatamente sue notizie e speravo di vederlo presto in qualche gara o semplicemente apprendere che si era distinto (bastava quello per fami piacere) in una classica o in una corsa a tappe. Lo avevo seguito nel Giro d'italia di quell'anno e ogni giorno speravo che fosse giunto il suo momento perchè volevo rivedere il suo volto ancora una volta sorridente, felice di essersi risentito importante e ancora una volta amato, e che la gente non vedesse più in una sua sconfitta ( così era se non vinceva) l'impossibilità di vincere senza l'uso di sostanze dopanti, ma ancora una volta la consapevolezza che lui era il migliore, che lui non aveva bisogno di "doparsi" per vincere perchè le vittorie erano in lui.
Da allora nulla più fino a questa domenica. E' morto solo, a San Valentino, una coincidenza che nessuno ha messo in risalto e che a me è apparsa ancora più beffarda. Ora dopo ora ascolto alla tv le notizie più diverse e contrastanti provenire da persone che sembravano conscerlo bene. ERa un introverso, un timido ma amava la bella vita, le donne, le macchine, i motori e frequentava locali ambigui. Era ingrassato ma allo stesso tempo lo avevano visto "sciupato". Tutti parlano e in questi casi non sai mai cosa spinge un personaggio famoso a dire la sua, non sai mai cosa spinge un programma a dedicare ore intere di discussione al "fatto", in questo caso la morte di Pantani.
Ho apprezzato il discreto e commovente ricordo di Bonolis, perchè sotto voce, perchè non retorico. "Mi aveva avvicinato al ciclismo e non avrei mai immaginato che questo sport potesse emozionarmi tanto", ma solo lui cmq era riuscito a fare ciò. "Sono convinto che ora sta meglio".
Ho trovato immorale e di cattivo gusto il ricordo di Cannavo' al tg5 che ha dipinto Pantani quasi come un "maledetto" e un uomo pieno di colpe perchè sbaglio' nel non autodenunciarsi.
Povero Cannavo', davvero lo ammiro per quanto distante possa essere la sua mente dalla condizione in cui può versare un uomo spinto giù da una montagna scelto a caso tra milioni di persone. Pantani aveva utilizzato sostanze dopanti, come tutti gli altri ma lui, il più grande e il più amato dalla gente aveva pagato per tutti, e coloro che apprezzavano le sue gesta ma che non capivano la loro grandezza allo stesso modo in cui lo avevano innalzato a mito lo avevano scaraventato giù (appunto) dall'Olimpo perchè "vinceva solo perchè si drogava!". A cosa sarebbe servita l'autodenuncia caro Cannavo'? A escluderlo completamente dal mondo del ciclismo? A negargli la possibiltà di ricominciare con umiltà e tra mille difficoltà? Cannavo' ha capito quello che è successo a Pantani in questi anni?
Evidentemente no, perchè è facile pensare che un gesto simile avrebbe decretato la morte di Pantani ben più presto di questo 14 Febbraio e sicuramente in situazioni ben più drastiche e tragiche.
Ricominciare con umiltà e con le proprie forze è il miglior modo per riparare a degli errori. Pantani muore e Cannavo' continuerà a scrivere nella speranza che non sia l'ultima volta che lo senta parlare di doping e sarà così spero non a fatto compiuto. Che denunci, ma non diffami!
Marco Pantani era il pirata, il ragazzo (che portava male gli anni che aveva) dalle orecchie a sventola, era uno che ti tirava con se nelle salite più pendenti, nelle imprese più impossibili. Pantani ti portava in bici con lui e ti faceva sentire protagonista. Riuscivi a sentire la fatica della gara e la gioa degli ultimi metri, quelli delle vittorie in solitario o degli scatti vincenti e tifavi per lui come se fosse stato tuo fratello. Se qualcuno scattava in qualche salita e lui rimanva indietro speravi fino all'ultimo che potesse recuperare e se lo faceva ti risollevavi e ti accanivi in un incitamento senza pudore per vederlo vincere, primeggiare. Pantani saliva sul palco alzava in alto i fiori, baciava le ragazze e sorrideva e ti faceva sorridere.
Sarebbe riduttivo e ingiusto dire che la morte di Pantani cancella uno sport dove tutto sarà d'ora in poi diverso, dove sarà impossibile emozionarsi, ma al prossimo podio non potremo che chiudere gli occhi e sostituire a quell'anonimo vincitore di passaggio il Sorriso di quell'uomo che ha fatto la storia e che ha portato con se nella tomba le colpe di un'intera categoria di sportivi. Tutti assolti, un unico imputato, un unico condannato alla pena capitale.

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