lunedì 23 febbraio 2009

CIAO CANDIDO, CI MANCHERAI


MILANO — La maglia rosa è sua. L'ha sempre indossata bene, con garbo e con forza. Come il suo giornalismo: elegante ma forte, sorretto da una spina dorsale. Pino Allievi, firma prestigiosa della Gazzetta, stimatissimo da Cannavò, confida commosso: «Conosceva a fondo tutti gli sport, poteva scrivere di calcio, ciclismo, motori, nuoto, atletica. E scrivere con competenza». Dote rara in un mondo pieno di orecchianti. Diciannove anni da direttore, imperatore democratico del giornale in rosa, amante del buon pezzo ma anche del titolo fatto bene.

Gianni Agnelli, editore ma negli anni diventato anche amico, ha firmato una breve biografia di Candido Cannavò. A modo suo, con poche ma felici parole: «Non sapremo mai ciò che la medicina ha perso, visto che il giovane Candido ha deciso di diventare giornalista, ma sappiamo quanto ci ha guadagnato lo sport e noi con lui». A 19 anni cronista a La Sicilia. A 25 anni corrispondente dalla sua isola per la Gazzetta dello Sport, ecco il primo contatto di una storia che diventa la sua vita, poi inviato, poi caporedattore sempre a La Sicilia, ma scrivendo di Olimpiade e Mondiali anche per la Gazzetta. A 51 anni (era l'1 marzo '81) vicedirettore. Fa un altro gradino: condirettore. E poi nell' 83, 12 marzo, a 53 anni, la fumata rosa: direttore della Gazzetta. Il testimone glielo consegna un altro grande del giornalismo, Gino Palumbo, suo maestro, sempre rispettato e in ogni occasione ricordato. Un altro talento di Cannavò: quello della riconoscenza. Non a caso in «Una vita in rosa», dove si scopre e si racconta, Cannavò ringrazia i suoi affetti, la famiglia, la moglie, i figli, ma anche «gli atleti, i compagni di lavoro e i lettori che mi hanno accompagnato in questa lunga avventura».

Restare per un ventennio alla guida di un giornale come la Gazzetta è un'impresa da campioni, da fuoriclasse. Raccontare lo sport non è facile, soprattutto in Italia dove si commette l'errore di pensare che tutti lo possano fare. Un gol, un autogol, un rigore, magari un testacoda, una volata al Giro, uno sprint su una pista di atletica, non lo si nega a nessuno. Non è così. Lo sport, come ogni altro settore, richiede studio e attenzione. È quello che ha sempre preteso Cannavò dai suoi redattori e dal suo giornale. Arrabbiandosi con qualche «minchia» ben assestato quando non trovava in un pezzo, o in una pagina, quello che aveva chiesto, quello che era giusto. Diciannove anni di successi, facendo volare la Gazzetta là dove era impensabile potesse arrivare, disegnano un capolavoro. In un lontano passato c'era chi, come qualche intellettuale o qualche manager, nascondeva il giornale rosa perché non era fine mostrarlo.

Cannavò fa cambiare idea a milioni di persone: la Gazzetta finisce nelle mazzette e sulle scrivanie degli uomini che contano. Senza mai dimenticare, però, quelli che contano poco, ma vanno negli stadi, nei palazzetti, oppure stanno incollati alla tv a guardare una partita di calcio o una corsa a piedi, in bici, in macchina o in moto. E all'indomani vanno in edicola per leggere «la rosea». La Gazzetta di Cannavò diventa il giornale più letto, ogni indagine statistica è una scalata nella hit parade dei quotidiani. Pelé, Rivera, Mazzola, Facchetti, Maradona, Zoff, Paolo Rossi, Enzo Ferrari, Merckx, Gimondi, Pantani, Schumacher, Valentino Rossi. Li racconta tutti. Con umanità. Non ha paura ad abbattere i confini del conformismo mettendo in un angolo il calcio e «aprendo» la sua Gazzetta con lo sci, con i trionfi ai Giochi del '92 di Tomba e della Compagnoni. E poi un occhio sensibile per gli sport minori e per i loro personaggi che, difatti, adorano Cannavò. È un mezzo elegante per allargare la conoscenza dello sport, per far capire con intelligenza al calcio che non può considerarsi sempre al centro dell'attenzione.

La Ferrari è un suo grande amore. Gli piacciono le corse, ma soprattutto è attirato dagli uomini. Da Enzo Ferrari prima di tutti. Tra lui e il Drake c'è un patto: trovarsi, discutere, parlare di corse, non solo quelle in macchina, per esempio entrambi sono affascinati dall'atletica e dalla bicicletta, Giro e Tour, ma Cannavò non può scrivere nulla. Queste fantastiche chiacchierate, attorno a un risotto fumante, non devono diventare articoli e titoli. Che fatica per Cannavò. Un giorno, dopo un famoso risotto, più ricco del solito perché insieme a zafferano e cotechino, il Drake si lascia andare a giudizi molto interessanti, fin troppo interessanti per un giornalista di razza come Cannavò. Quel 24 novembre '87 Cannavò non ce la fa a resistere e sulla prima pagina della Gazzetta titola: «Un risotto in casa Ferrari». Scrive tutto, l'incontro, il pranzo, chi c'è, le confidenze di Ferrari.

Cannavò ha raccontato che per tre giorni a ogni squillo del telefono accorreva con apprensione alla cornetta con la speranza di non sentire la voce arrabbiata del Drake tradito. Nessuna telefonata, ma tre giorni dopo la pubblicazione del pezzo, arrivò un pacchettino col timbro postale di Maranello. Cannavò lo aprì incuriosito, venne fuori un biglietto: «Caro Cannavò, ho gustato il suo risotto: è migliore del mio». La sua firma: Enzo Ferrari. Quella busta e quel biglietto Cannavò se li conservò stretti stretti come un tesoro. Ferrari aveva capito che Cannavò, uomo di parola, non era capace di tradire. Non a caso tra i suoi migliori amici c'è un campione che lo conquista prima in campo e poi nella vita come dirigente: Giacinto Facchetti. Un esempio di stile, di classe e di lealtà, lo stesso stile, la stessa classe e la stessa lealtà che si ritrovano ogni giorno sulle pagine della rosea e si leggevano nelle parole franche del suo storico direttore.

Daniele Dallera

da Corriere.it

1 commento:

scola ha detto...

http://www.repubblica.it/2009/02/sezioni/spettacoli_e_cultura/spettacolo-baricco/spettacolo-baricco/spettacolo-baricco.html

un pò lunghino ma molto interessante