martedì 27 gennaio 2009

GIORNO DELLA MEMORIA - INIZIATIVE A REGGIO



Reggio Emilia non dimentica. Anche quest'anno, in occasione del Giorno della Memoria, martedì 27 gennaio, il Comune, la Provincia insieme ad un gruppo numerosissimo di enti, associazioni e comitati hanno elaborato un ricco cartellone di iniziative, incontri, spettacoli teatrali, mostre, proiezioni e speciali eventi rivolti agli studenti degli istituti scolastici volti a far sì che l'oblio non cancelli il sacrificio e il martirio di un'intera popolazione e il ricordo rimanga un monito alle generazioni future affinchè non si ripetano più orrori simili. Il Giorno della Memoria è una ricorrenza istituita con la legge n. 211 del 20 luglio 2000 dal Parlamento italiano che ha in tal modo aderito alla proposta internazionale di dichiarare il 27 gennaio come giornata in commemorazione delle vittime del nazionalsocialismo e dell'Olocausto e in onore di coloro che a rischio della propria vita hanno protetto i perseguitati.

TUTTE LE INIZIATIVE da Comune.re.it

lunedì 26 gennaio 2009

CONFLITTO ISRAELE-PALESTINA: DOMANDE E RISPOSTE


Durante questi ultimi giorni abbiamo assistito ad un nuovo e indicibile assedio da parte di Israele nei confronti della popolazione palestinese residente nella striscia di Gaza. Il comportamento, però, della totalità dei mezzi di informazione è stato tutt’altro che limpido e imparziale (come sempre del resto). Per questo motivo crediamo sia necessario rispondere ad alcune domande utili a formarsi un opinione meno soggetta alla propaganda sionista.

Dov’è e cos’è Gaza?

Col termine Striscia di Gaza si indica un territorio palestinese confinante con Israele e Egitto nei pressi della città di Gaza; questo territorio non è riconosciuto internazionalmente come parte di qualsiasi paese sovrano. E’ sostenuta da parte della Autorità nazionale palestinese anche se attualmente dopo le elezioni politiche del 2006 e la cosiddetta battaglia di Gaza tra al-Fath e Hamas il controllo è passato a quest’ultima fazione.

Come si è generata la questione palestinese?

Dopo la prima guerra mondiale, Gaza è diventata parte del Mandato britannico della Palestina sotto l’autorità della Società delle Nazioni. Il dominio britannico sulla Palestina si è concluso nel 1948 con il ritiro inglese in data 14 maggio; secondo accordi stabiliti dalle Nazioni Unite quest’area sarebbe dovuta diventare uno stato arabo ma tutto ciò non è mai avvenuto. Dopo la fine del mandato dell’Inghilterra (che comunque portò la palestina in una situazione economica, sociale e amministrativa assai difficile) e la guerra civile palestinese nel 1948 Israele ha dichiarato la sua indipendenza ed è così sorto lo stato di Israele.

Quando e com’è nato lo Stato di Israele?

Nel 1947 nell’Assemblea delle Nazioni Unite dopo mesi di lavoro da parte dell’UNSCOP (United Nations Special Committee on Palestine), il 29 novembre approvò la Risoluzione dell’Assemblea Generale n. 181, che prevedeva la creazione di uno stato ebraico e di uno stato arabo in Palestina, con la città e la zona di Gerusalemme sotto l’amministrazione diretta dell’ONU. Nella sua relazione l’UNSCOP si pose il problema di come accontentare sia la fazione araba che quella ebrea e nel decidere su come spartire il territorio considerò la necessità di radunare tutte le zone dove i coloni ebrei erano presenti in numero significativo (seppur spesso in minoranza) nel futuro territorio ebraico. La Gran Bretagna annunciò che avrebbe terminato il proprio mandato il 15 maggio 1948 poiché in disaccordo. Le reazioni alla risoluzione dell’ONU furono diversificate: la maggior parte degli ebrei, rappresentati ufficialmente dall’Agenzia Ebraica, l’accettarono, pur lamentando la non continuità territoriale tra le varie aree assegnate allo stato ebraico. Gruppi più estremisti, come l’Irgun e la Banda Stern, la rifiutarono, essendo contrari alla presenza di uno stato arabo in quella che consideravano “la Grande Israele” nonché al controllo internazionale di Gerusalemme.

Tra la popolazione araba la proposta fu rifiutata, con diverse motivazioni: alcuni negavano totalmente la possibilità della creazione di uno stato ebraico; altri criticavano la spartizione del territorio che ritenevano avrebbe chiuso i territori assegnati alla popolazione araba; altri ancora erano contrari perché agli ebrei, che allora costituivano una minoranza (un terzo della popolazione totale che possedeva solo il 7% del territorio), fosse assegnata la maggioranza (56%, ma con molte zone desertiche).

Tra il dicembre del 1947 e la prima metà di maggio del 1948 vi furono cruente azioni di guerra civile da ambo le parti. Il piano Dalet (o “Piano D”) dell’Haganah, messo a punto tra l’autunno del 1947 e i primi mesi del 1948, aveva come scopo la difesa e il controllo del neonato stato israeliano e degli insediamenti ebraici a rischio posti al di là del confine di questo. Il piano, seppur ufficialmente solo difensivo, prevedeva comunque, tra le altre cose, la possibilità di occupare “basi nemiche” poste oltre il confine (per evitare che venissero impiegate per organizzare infiltrazioni all’interno del territorio) e prevedeva la distruzione dei villaggi palestinesi espellendone gli abitanti oltre confine, ove la popolazione fosse stata “difficile da controllare“, situazione che ha portato diversi storici a considerare il piano stesso indirettamente responsabile di massacri e azioni violente contro la popolazione palestinese una specie di tentativo di pulizia etnica. Uno storico israeliano, Ilan Pappe, che insegna alla British University di Exeter parla così di tutto ciò:

“…………Tra febbraio e dicembre del 1948 l’esercito israeliano ha occupato sistematicamente i villaggi e le città palestinesi, facendo fuggire con la forza la popolazione e nella maggior parte dei ca-si anche distruggendo le case, devastando le pro-prietà e portando via loro averi e i loro ricordi. Una vera e propria pulizia etnica. La comunità internazionale era al corrente di questa pulizia etnica, ma decise, soprattutto in occidente, di non scontrarsi con la comunità ebraica in Palestina dopo l’olocausto……. Le operazioni di pulizia etnica non consistono solo nell’annientare una popolazione e cacciarla dalla terra. Perché la pulizia etnica sia efficace è necessario cancellare quel popolo dalla storia, dalla memoria. Gli Israeliani sono molto bravi a fare ciò e lo realizzano in due modi. Sulle rovine dei villaggi palestinesi costruiscono insediamenti per i coloni chiamandoli con nomi che richiamano quello precedente. Un monito ai palestinesi: ora il territorio è nelle nostre mani e non c’è possibilità di far tornare indietro l’orologio. Oppure costruiscono spazi ricreativi che sono l’opposto della commemorazione: vivere la vita, goderla nel divertimento e nel piacere.
E’ un strumento formidabile per un atto di “memoricidio”……..”

Grande impatto emotivo sull’opinione pubblica ebbe il massacro di Deir Yassin, avvenuto il 9 aprile ad opera di membri dell’Irgun e della Banda Stern ed all’insaputa dell’Haganah.

Il 14 maggio del 1948 venne dichiarata unilateralmente la nascita dello Stato di Israele, un giorno prima che l’ONU stessa, come previsto, ne sancisse la creazione.

Come si è sviluppata la vita palestinese negli anni seguenti?

Ogni anno il popolo palestinese commemora l’Al-Nakba, la catastrofe. Al Nakba è l’appellativo che i Palestinesi danno al 15 maggio 1948, data in cui lo stato d’Israele si è impossessato delle terre, delle case e delle vite del popolo palestinese; questo è il giorno in cui i palestinesi sono divenuti profughi. La maggior parte sono stati cacciati e chi ha fatto resistenza è stato ucciso (circa 530 i villaggi sgomberati). Finora Israele ha impedito il ritorno di circa 6 milioni di profughi alle loro terre e ancora oggi cerca di espellerli con operazioni definite trasferimenti.

Un altro ingente esodo forzato di circa 350mila palestinesi é avvenuto nel 1967, dopo la cosiddetta guerra dei 6 giorni; una guerra “preventiva” voluta da Israele atta a combattere la situazione politica che si stava delineando nel territorio come per esempio la rinascita politica palestinese con la creazione dell’OLP nel 1964. La conseguenza del conflitto è il ritorno del controllo del territorio ad Israele che lo strappa all’Egitto che lo aveva avuto fino ad allora grazie alla firma di un armistizio nel 1949 . L’occupazione militare durerà fino al 1994 (accordi di Oslo) anche se lo stato ebraico manterrà comunque il controllo dello spazio aereo, le acque territoriali, l’accesso off-shore marittimo, l’anagrafe della popolazione, l’ingresso degli stranieri, le importazioni e le esportazioni, nonché il sistema fiscale.

Che cos’è l’Autorità Nazionale Palestinese?

Nel maggio 1994, a seguito degli accordi israelo-palestinesi, un graduale trasferimento di autorità governative per i palestinesi ha avuto luogo. L’Autorità palestinese, guidata da Yasser Arafat, ha scelto la città di Gaza come la sua prima sede provinciale mentre nel settembre 1995, Israele e l’OLP firmarono un secondo accordo di pace che estende l’amministrazione dell’Autorità palestinese alla maggior parte delle città della Cisgiordania.

Cos’ha portato, concretamente, alla attuale situazione a Gaza?

Il 14 agosto 2005 il governo israeliano ha disposto l’evacuazione della popolazione israeliana dalla “Striscia” e lo smantellamento delle colonie che vi erano state costruite (piano di disimpegno unilaterale israeliano). Intanto dopo 2 anni di controllo da parte del gruppo al-Fath vennero indette nuove elezioni vinte dal partito islamico Hamas considerato dall’Europa e dagli USA un gruppo terrorista fondamentalista per le sue azioni armate e il rifiuto di riconoscere la legittimità dello stato di Israele. Inizia contestualmente così una nuova fase del conflitto israelo-palestinese con il lancio di missili Qassam verso il territorio israeliano e assassinii mirati, operazioni militari e un embargo verso la striscia che dura tuttora.

Il 1º marzo 2008, l’esercito dello Stato di Israele con l’operazione Inverno caldo invase direttamente l’area con forze blindate ed aeree.Nell’ambito di una tregua di sei mesi, mediata nel giugno 2008 dall’Egitto, Hamas accettò di porre fine al lancio dei razzi in cambio di un alleggerimento del blocco da parte di Israele. Il cessate-il-fuoco, però, non fu completamente osservato: si sono contati 49 palestinesi uccisi nel periodo di tregua. Inoltre Israele non ha rispettato la parte centrale dell’accordo, che prevedeva l’alleggerimento del blocco: invece dei 450 camion di aiuti giornalieri previsti, al massimo a una settantina era concesso attraversare i confini di Gaza, aggravando le condizioni di vita di una popolazione che sopravvive in gran parte grazie ad aiuti umanitari.

Ancora, Israele il 4 novembre 2008 con un attacco dentro il territorio di Gaza che uccise 6 guerriglieri di Hamas violò nuovamente la tregua. Questo atto è stato una sorta di “goccia che fa traboccare il vaso” per Hamas che tramite un suo portavoce ha lasciato intendere che non avrebbe rinnovato la tregua senza un alleggerimento dell’assedio e così è iniziato il lancio dei razzi Qassam. Dichiarando di voler ripristinare la sicurezza di zone dello stato di Israele, minacciate da Hamas, il 27 dicembre 2008 i vertici politici israeliani hanno lanciato l’operazione Piombo fuso contro la Striscia, con bombardamenti aerei su vasta scala. Nonostante la dichiarata intenzione di colpire postazioni di lancio, sedi governative ed altri obiettivi militari, il numero di vittime fra i civili palestinesi è stato spaventoso: si contano circa 1310 palestinesi morti di cui 410 bambini contro i circa 15 (3 civili) israeliani senza parlare delle migliaia di feriti e di edifici andati distrutti(ndr non tutti militari sembrerebbe a questo punto anche perché se così fosse Gaza sarebbe un’unica città fortezza….). La notte del 3 gennaio 2009 è iniziata l’invasione di terra da parte dell’esercito israeliano; la notte del 12 gennaio 2009, invece, per la prima volta nella storia della Striscia, le truppe israeliane penetrano nella città di Gaza, invadendo la periferia. In questi giorni fortunatamente l’esercito ha cominciato la ritirata delle truppe (che da fonti non ufficiali sembra debba finire prima dell’insediamento di Obama alla Casa Bianca) mentre Hamas ha cessato il lancio di missili sul territorio israeliano.

Perchè Israele persegue questa strategia?

Ora ci si interroga su quale fosse il vero obiettivo di Israele poiché dopo più di 20 giorni di massacro Hamas (che conta 25000 iscritti) risulta non essere stata per niente indebolita e anzi con l’appoggio del mondo arabo ( Iran per il riarmamento e Arabia Saudita con fondi per la ricostruzione) potrebbe diventare ancora più pericolosa.

Guido Rampoldi (inviato Repubblica) suggerisce un’ipotesi:

In realtà il vero obiettivo potrebbe essere quello di scaricare Gaza e i palestinesi all’Egitto come lasciato intendere da un articolo di John Bolton, ex ambasciatore USA all’ONU e fedele al progetto di fortificare Israele: secondo la sua proposta Gaza passerebbe sotto il controllo dell’Egitto che ne assumerebbe il ruolo di potenza occupante con tutti gli oneri fiscali e le responsabilità che ne derivano. Per avallare questa teoria c’è anche il fatto che Israele in autunno rifiutò di trasferire moneta alle banche di Gaza e suggerì ai palestinesi di iniziare ad utilizzare le rupie, la moneta egiziana. Il conflitto quindi potrebbe essere visto come la continuazione di questo progetto come sembrano esplicitare il bombardamento del maggior deposito alimentare delle Nazioni Unite, del maggior deposito di medicinali a Rafah(nel sud) e dei tunnel verso l’Egitto da cui sì Hamas importava armi leggere col contrabbando ma che permettevano anche alla popolazione di sfamarsi dopo che il governo Olmert ha chiuso il confine. L’idea quindi è di fare in modo di rendere internazionale la striscia per quanto riguarda la ricostruzione e gli aiuti umanitari e poi liberarsene. Il piano però sembra molto difficile da realizzare e forse potrebbe rivelarsi controproducente poiché ha ricostituito una forte unità tra le varie fazioni palestinesi a spese di quelle più aperte al dialogo.

Il processo di pace nella Striscia di Gaza pare non essere mai stato così lontano….

Alessandro Poli

da CSU Reggio Emilia

domenica 25 gennaio 2009

GAZA - RITORNO A SCUOLA A ZABALIYA



I frutti dell'Imperialismo israeliano. Che in concomitanza con la data di ricorrenza dell'Olocausto sono un pugno nello stomaco ancora più violento. Intendiamoci, per evitare fraintendimenti, su cosa sia l'Imperialismo.

"L'imperialismo sorse dall'evoluzione e in diretta continuazione delle qualità fondamentali del capitalismo in generale. Ma il capitalismo divenne imperialismo capitalistico soltanto a un determinato e assai alto grado del suo sviluppo, allorché alcune qualità fondamentali del capitalismo cominciarono a mutarsi nel loro opposto, quando pienamente si affermarono e si rivelarono i sintomi del trapasso a un più elevato ordinamento economico e sociale. In questo processo vi è di fondamentale, nei rapporti economici, la sostituzione dei monopoli capitalistici alla libera concorrenza. La libera concorrenza è l'elemento essenziale del capitalismo e della produzione mercantile in generale; il monopolio è il diretto contrapposto della libera concorrenza. Ma fu proprio quest'ultima che cominciò, sotto i nostri occhi, a trasformarsi in monopolio, creando la grande produzione, eliminando la piccola industria, sostituendo alle grandi fabbriche altre ancor più grandi, e spingendo tanto oltre la concentrazione della produzione e del capitale, che da essa sorgeva e sorge il monopolio, cioè i cartelli, i sindacati, i trust, fusi con il capitale di un piccolo gruppo, di una decina di banche che manovrano miliardi. Nello stesso tempo i monopoli, sorgendo dalla libera concorrenza, non la eliminano, ma coesistono, originando così una serie di aspre e improvvise contraddizioni, di attriti e conflitti. Il sistema dei monopoli è il passaggio del capitalismo a un ordinamento superiore nella economia.

Se si volesse dare la definizione più concisa possibile dell'imperialismo, si dovrebbe dire che l'imperialismo è lo stadio monopolistico del capitalismo. Tale definizione conterrebbe l'essenziale, giacché da un lato il capitale finanziario è il capitale bancario delle poche grandi banche monopolistiche fuso col capitale delle unioni monopolistiche industriali, e d'altro lato la ripartizione del mondo significa passaggio dalla politica coloniale, estendentesi senza ostacoli ai territori non ancor dominati da nessuna potenza capitalistica, alla politica coloniale del possesso monopolistico della superficie terrestre definitivamente ripartita.

[..]Quindi noi -senza tuttavia dimenticare il valore convenzionale e relativo di tutte le definizioni, che non possono mai abbracciare i molteplici rapporti, in ogni senso, del fenomeno in pieno sviluppo- dobbiamo dare una definizione dell'imperialismo, che contenga i suoi cinque principali contrassegni, e cioè:

1) la concentrazione della produzione e del capitale, che ha raggiunto un grado talmente alto di sviluppo da creare i monopoli con funzione decisiva nella vita economica;

2) la fusione del capitale bancario col capitale industriale e il formarsi, sulla base di questo "capitale finanziario", di un'oligarchia finanziaria;

3) la grande importanza acquistata dall'esportazione di capitale in confronto con l'esportazione di merci;

4) il sorgere di associazioni monopolistiche internazionali di capitalisti, che si ripartiscono il mondo;

5) la compiuta ripartizione della terra tra le più grandi potenze capitalistiche."

da L'Imperialismo, frase suprema del capitalismo. V.Lenin

venerdì 23 gennaio 2009

LORIS MAZZETTI SUL "TELEGIME"



Intervista / Parte 2
Intervista / Parte 3

L’asservimento della Rai al potere politico dominante è uno degli elementi del disastro. I partiti hanno sempre allungato le mani sull’informazione del servizio pubblico, sia chiaro, ma mai in modo così unilaterale e arrogante, in un quadro di così grave concentrazione dei poteri. Non c’è nemmeno più bisogno della censura, ognuno conosce perfettamente il limite della libertà tollerata. Campagne di diffamazione e minacce di repulisti di tanto in tanto aiutano a ricordare chi comanda. Dai palinsesti sono quasi sparite le inchieste e i telegiornali si dividono fra dichiarazioni di portavoce di partito e cronaca d’evasione, nera o rosa. Pochissimi dentro la Rai possono permettersi il lusso di tenere la schiena dritta.
Aggiorna la casistica di questa decadenza in un suo nuovo libro (’La macchina delle bugie’, Bur edizioni), Loris Mazzetti, capo-struttura della Rai a Milano, responsabile tra l’altro del programma di Fabio Fazio, già stretto collaboratore di Enzo Biagi.
Abbiamo avuto con lui una conversazione sui temi del libro. Ne è uscita la video-intervista che vi proponiamo, lunga eppure necessaria, a nostro giudizio, nella sua interezza. L’abbiamo pubblicata in tre parti consecutive.
Loris parte da un concetto fondamentale: la funzione del giornalismo è quella di essere il cane da guardia della democrazia. Tocca constatare che in larga misura oggi in Italia è diventato il cane da guardia del potere. Tranne rare eccezioni, direttori di rete e di testata si comportano da funzionari di partito, la tv pubblica è per lo più usata per negare e distorcere la verità dei fatti. Nel gioco al ribasso il conformismo dilaga: nei momenti cruciali (l’editto bulgaro, lo scandalo “RaiSet”) si levano poche voci, sempre le stesse, in un silenzio sempre più assordante del ceto giornalistico come dell’opposizione parlamentare. Dalla verità sulla cacciata di Biagi alla polemica intorno al caso Schifani Travaglio, Mazzetti riepiloga i momenti salienti di questa deriva e prevede un’ulteriore blindatura del sistema dell’informazione pubblica. All’attuazione del Piano della P2 manca solo l’ultimo tassello: la Repubblica presidenziale. Buona visione.

da www.pieroricca.org

giovedì 22 gennaio 2009

TRAVAGLIO AL FUORI ORARIO



mercoledì 11/3/2009:
A cena con Marco Travaglio
E' finalmente arrivato il momento di incontrare il nostro giornalista preferito!
Presentazione dei libri "Per chi suona la campana" e "Bavaglio"...
Cena a buffett per tutti (pochi e non prenotabili i posti a sedere) con le delizie del Fuori Orario

Prenotazioni disponibili: 189 -Prenota un biglietto

Prezzo: 10
IL PROGRAMMA 2009 DEL FUORI ORARIO

martedì 20 gennaio 2009

YES WE CAN? OBAMA E IL FUTURO



Ho visto solo di sfuggita, e con la bimba in braccio, i servizi di ieri che documentavano la cerimonia di insediamento di Barack Obama a Presidente degli Stati Uniti D’America.

E’ bastato osservare, anche distrattamente, ciò che accadeva per rendersi immediatamente conto non solo della portata dell’evento, della sua straordinaria e rivoluzionaria forza, ma anche della realizzazione di un sogno, che iniziato sessant’anni fa vede oggi la sua consacrazione in un giovane nero eletto alla più alta carica del Paese più influente al mondo.

E’ bastato osservare, anche distrattamente, alcuni volti dei milioni di cittadini presenti, per capire il carico di speranza, di aspettativa, ma anche voglia di esserci, di contare, di far parte di questo “nuovo” di cui Obama è decisamente il portavoce principale.
Quei due milioni di americani presenti sprigionavano una carica di energia a tutto il mondo e il riconoscersi così appieno nel leader appena eletto ha dato a tutti una dimostrazione di come possa essere vitale e costruttivo un sano rapporto tra cittadini e politica.

Di fronte a tanto entusiasmo, che in parte è anche mio, non ho potuto fare a meno di accostare a questo storico evento, l’amaro tempo che siamo chiamati a vivere nel nostro Paese.
Della pochezza del nostro premier rispetto a quello americano non voglio neanche parlarne perchè mi deprimo.
L’unica nota che secondo me merita di essere sottolineata è proprio la palese differenza di “umore” che pervade tra quel popolo ed il nostro.
Loro, pur attraversati dalla stessa crisi economica nostra, aggravata dalla sciagurata politica estera del suo predecessore, sono un popolo in piedi che guarda con fiducia al futuro.
Noi, umiliati da una classe politica incapace, corrotta e inamovibile, siamo un popolo seduto, silenzioso e senza speranza.
Rassegnati a Berlusconi da una parte e rassegnati ad una sinistra capace solo di divedersi, litigare, aggrapparsi al poco potere che le resta.

So che è un quadro desolante. E so anche che la rassegnazione è una brutta bestia.
Ma non ho perso tutte le speranze. Una mi resta ancora.
E’ tragica, ma mi auguro che accada.
E’ la speranza che questa crisi economica sia talmente seria e grave da mettere in ginocchio il Paese, compresi i suoi cittadini.
Forse, solo allora, quando si sarà toccato il fondo, quando saremo davvero nella merda, troveremo di nuovo il coraggio, insieme, di cambiare le cose.
Sarebbe un piccolo fiore, nato, come cantava De Andrè, anch’esso dal letame.

Franco

da www.arcifuori.it

domenica 18 gennaio 2009

I NOSTALGICI DI MOGGI



di Gianni Minà

E’ stato veramente imbarazzante vedere Luciano Moggi, condannato pochi giorni fa ad un anno e sei mesi nel processo Gea per violenza privata, e rinviato a giudizio dai pm Beatrice e Narducci del Tribunale di Napoli per corruzione e associazione a delinquere, fare, nella puntata di Porta a Porta di mercoledì 14 gennaio, il Luciano Moggi in tv, cioè il bizzarro puparo del mondo del calcio italiano che le spara grosse e senza replica.
Il suo capzioso districarsi, nello studio di Bruno Vespa, in una platea di giornalisti, salvo eccezioni, tutti incredibilmente pronti ad assolvere le sue gesta (con la famosa, avvilente giustificazione craxiana “Lo facevano tutti”), è stato infatti la prova, se mai ce ne fosse bisogno, del suo intatto e sorprendente potere, non solo nel mondo del pallone, ma anche, inverosimilmente, nella società italiana tutta.
Quale cittadino, infatti, rinviato a giudizio potrebbe usufruire di una simile difesa preventiva, di un forum dove tutte le sue ragioni sono esaltate, mentre sono sottilmente mortificate quelle degli investigatori, come il maggiore dei carabinieri Auricchio, nel frattempo promosso colonnello, o come quelle dei suoi accusatori, come Franco Baldini o come quelle degli stessi P. M.?
Certo, Moggi è, nella vita, salvo con quelli che sbarrano la strada ai suoi interessi, un gran simpaticone, ma la cosa che più sorprende nel suo tentativo di asservimento del mondo del calcio, (dagli arbitri ai loro designatori, dai dirigenti della Federazione ad alcuni manager dei club, fino a ufficiali della Guardia di Finanza o ai poliziotti in servizio che lui usava per andare a prendere dei suoi amici all’aeroporto) è che il condizionamento di tutte queste persone avveniva, secondo le indagini, non solo per favorire la squadra per cui lavorava, la Juventus, ma anche per assecondare le aspirazioni più disparate di un mondo di “professionisti” frustrati. Arbitri che cercano scorciatoie per far carriera, o promozioni nel loro lavoro, o persone pronte a rinunciare alla propria dignità per un gadget, una maglietta firmata dal giocatore preferito, o due biglietti omaggio in una partita che conta e che permette loro di sentirsi realizzati sedendo con i familiari in tribuna vip.
Un “mondarello” senza qualità, se non fosse che questa macchina, messa in moto dal prode ex capostazione di Civitavecchia, una volta scoperta, ha fatto emergere un verminaio, in una delle industrie fino a ieri più indiscutibili, ma poco democratiche, della società italiana, quella del gioco del pallone.
La giustizia calcistica, spesso contraddittoria e inevitabilmente sommaria, ha emesso, tre anni fa, i suoi verdetti: la retrocessione in serie B della Juventus e la cancellazione degli scudetti, ’94/’95 e ‘95/’96. A questa sentenza sembra però, sorprendentemente, essersi uniformata solo la nuova dirigenza della società che ha rotto col passato e grazie a due grandi campionati, uno in B ed uno in A, si è riappropriata della propria dignità, tanto da essere adesso l’avversaria più quotata dell’Inter nella lotta per lo scudetto ‘98/’99.
La nuova dirigenza della società ha fatto tutto questo senza lamentarsi troppo, anche se, all’ultimo, la giustizia del calcio ha avuto più magnanimità con il Milan di Berlusconi, malgrado un dirigente, Meani, condizionasse chiaramente la gestione degli arbitri scelti per le partire dei rossoneri dai due designatori, Bergamo e Pairetto, e malgrado fosse venuta a galla una raccomandazione sollecitata da un direttore di gara desideroso di incontrare il sottosegretario Letta ed essere favorito nel proprio lavoro.
La nuova Juventus del Presidente Cobolli-Gigli e dell’amministratore delegato Blanc ha così evitato, con questa scelta di remissività, guai peggiori (la serie C), come dovette spiegare in prima persona Giampiero Boniperti, mito dei colori bianconeri dell’ultimo mezzo secolo, agli azionisti del club che alcuni media insensati e interessati aizzavano per vendere più copie o avere più audience.
Chi non si è dato pace e ha nostalgia di Moggi è proprio questo tipo di informazione, paladina di un mondo, specchio dell’attuale sbracata società italiana, che il calcio lo continua a volere come era prima di Calciopoli, dove vince solo chi ha potere o chi è più ricco, quel calcio di “megalomani” bocciato anche da un campione che fu bandiera juventina, come Platini e che, come presidente della Uefa, ha stoppato l’idea di un campionato europeo che fosse solo per club privilegiati e rispondesse solo alle richieste di un mercato senza etica.
Questo mondo, dopo la sentenza Gea che ha condannato i Moggi, padre e figlio “solo” ad una pena rispettivamente di un anno e mezzo e di un anno e due mesi, si è prontamente attivato per creare un clima di pregiudizio sul processo che, fra pochi giorni, si aprirà a Napoli per Calciopoli, cercando evidentemente non solo di condizionarne lo svolgimento (la difesa di Moggi ha chiesto la comparazione di 483 testimoni, fra cui perfino Silvio Berlusconi) ma anche di mettere in discussione il lavoro dei PM, guarda caso proprio nei giorni in cui il ministro Angelino Alfano sta per presentare una riforma della Giustizia che dovrebbe mettere in riga i magistrati, secondo gli interessi dei cittadini più potenti.
E così si è arrivati al grande show da Bruno Vespa.
E’ sorprendente, a questo punto, constatare che nessuno in studio abbia ricordato che la gestione della Juventus incriminata di Moggi e Antonio Giraudo, amministratore delegato sia stata sempre perlomeno disinvolta.
Hanno un bel dire i giocatori che vinsero gli scudetti bianconeri in quelle stagioni, che “quei trofei sono stati guadagnati sul campo”, perché non sono poche le ombre che bisognerebbe diradare. Dall’abuso di farmaci per il quale il dott. Riccardo Agricola, medico sociale, è uscito indenne solo per prescrizione del reato, all’avvilente susseguirsi di campioni bianconeri sfilati davanti al giudice Casalbore che, pur avendo tutti poco più di venti anni, non ricordavano nulla, proprio nulla, di come era gestita la somministrazione degli integratori o dell’eritropoietina nello spogliatoio.
Un assoluto e inquietante vuoto generale di memoria.
Così come nessuno ha ricordato quando, nell’estate del 1998, comparvero nel ritiro estivo della Juventus il medico catalano Guillermo Laich e il preparatore atletico olandese Henc Kraaijenhof, non si sa ingaggiati e pagati per che cosa.
Laich, per esempio, era stato il pupillo del dottor Robert Kerr, il mago di Venice, in California, reo confesso, anni dopo, in un intervista che mi concedette, di aver “aiutato a volare”, con metodi non corretti, mezza nazionale nordamericana alle Olimpiadi di Los Angeles dell’84.
E questo per aumentare artificialmente il potenziale psico-fisico dei giocatori, allontanare la soglia del dolore e forzare i limiti della loro tenuta e resistenza. Insomma, per truccare le regole del gioco.
Ricordo di averne fatto menzione anche all’avv. Chiusano, ex presidente della Juventus, in un sudato dibattito televisivo nell’agosto del ’98, quando Zeman, con molta onestà intellettuale, denunciò la piaga dell’abuso dei farmaci, un’abitudine nefasta che riguarda tutto il calcio italiano e forse internazionale.
In quell’occasione chiesi a Chiusano cosa servisse pagare cinquanta milioni Laich e Kraaijenhof, due signori presentati dall’ex commissario tecnico dell’atletica azzurra Elio Locatelli, per una consulenza sui metodi di allenamento visto che la Juventus aveva già Marcello Lippi, uno dei migliori allenatori italiani, Gian Piero Ventrone, uno dei più stimati preparatori e, particolare non trascurabile, una squadra fortissima.
Chiusano prese la mia domanda come una bizzarria e mi disse che per fare certe affermazioni su professionisti come Laich e Kraaijenhof bisognava avere le prove. Io risposi che le avevo. Il discorso finì lì. L’abitudine a cercare scorciatoie, anche senza motivo e bisogno, era evidentemente un vizio di quella gestione della Juventus, che voleva la vittoria a qualunque costo.
Sorpende poi, leggendo e sentendo le teorie di molti colleghi, il fatto che dimentichino come la giustizia sportiva prescinde dalle logiche e dai verdetti di quella ordinaria perché per principio, nello sport (se il calcio professionistico ancora lo è) si punisce anche solo l’intenzione di truccare le regole del gioco, di delinquere, anche se il tentativo poi non va in porto.
Per questo è ridicolo verificare gli arbitraggi dei direttori di gara e dei guardialinee incriminati nelle partite discusse, se si ha la prova (bastano le schede svizzere elargite da Moggi a tanti arbitri) che il tentativo di condizionamento è avvenuto.
Tutto ciò sarà pure sommario, ma queste sono le regole del gioco accettate quando si entra nel mondo dello sport. Tutto il resto è patetica speculazione o imbarazzante difesa degli interessi di pochi.

da Latino America